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venerdì, 2 Giugno 2023

Franco Mastrogiovanni: Morto dopo 87 ore in TSO

Lasciato morire in un letto d'ospedale di un TSO a Vallo della Lucania, è morto il 4 agosto del 2009 dopo ben ottantasette ore di agonia, crudamente documentate dalle telecamere dell'asl.

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Franco Mastrogiovanni, un maestro delle elementari, la cui triste vicenda è diventata motivo per guardare alle mancanze della nostra società, che hanno portato alla morte non solo Franco, ma di Stefano Cucchi, Carlo Giuliani, Aldo Bianzino, Riccardo Rasman e molti altri nomi. Tutte vittime dello stato, torturati e giustiziati da figure che convenzionalmente riteniamo “dalla parte dei giusti, dalla parte nostra”.

Invece nella storia di questi nomi non c’è nulla di giusto e onesto, c’è solo l’eco del male, della meschinità più lacerante dell’essere umano, dell’omertà, di un sistema giuridico obsoleto, malfuznionante, ingiusto.

Franco aveva 58 anni, conduceva una vita ordinaria, era amato dai suoi giovanissimi studenti che lo ricordano come un maestro sorridente che non si limitava solo all’insegnamento della matematica. Non aveva mai avuto problemi con colleghi, familiari o compagni. Si trattava di una persona sensibile, sensibile ai moti turbolenti della psiche umana – la depressione di cui soffriva – e alla anarchia, in cui si rivedeva da quando era ragazzo.
Fu proprio durante i suoi anni giovanili che queste due “sensibilità” lo marchiarono a vita come “anarchico, disadattato”, che furono causa di ben tre tso, di cui l’ultimo letale.
Le motivazioni che portarono alla richiesta -firmata poi dal sindaco- di un trattamento sanitario obbligatorio, per Franco Mastrogiovanni, in quel caldo luglio del 2009, restano un mistero, perché Franco stava bene, svolgeva la sua vita senza alcun tipo di complicazioni, come la vita di chiunque.

È la sera del 29 luglio del 2009, quando Franco si trova a Pollica -un piccolo comune in provincia di Salerno-  sta attraversando uno spazio pedonale alla guida della sua automobile, i carabinieri, dopo averlo visto, non si sono limitati a multarlo e a procedere come prestabilito dall’ordine. Ma qui il normalissimo racconto si spezza e ci viene presentata la prima anomalia: i carabinieri segnalano la presenza di Franco al sindaco -ucciso un anno dopo in circostanze misteriose- Angelo Vassallo, che ritiene adeguato fare richiesta del trattamento sanitario obbligatorio.

Questo “soggetto socialmente pericoloso e poco lucido”, passa una notte indisturbato, e riceverà l’intervento dei carabinieri solo al mattino seguente, mentre si dirige in auto nel  campeggio dove sta trascorrendo le vacanze, a San Mauro Cilento. Era nota a tutti l’avversità di Franco per le forze dell’ordine -aveva già subito abusi in passato- pertanto Franco tenta di sfuggire alla cattura, arriva nei pressi della spiaggia e si getta in mare senza vestiti.
Non mi prenderete” è quello che urla Franco, che canta anche “Addio Lugano bella“, una canzone notoriamente anarchica, quasi il presagio di una catastrofe che ormai Franco sentiva vicina, mentre ormai sulla spiaggia le forze dell’ordine lo avevano accerchiato.
Tra le forze dell’ordine erano presenti anche i medici dell’Asl, che a distanza giudicano il soggetto bisognoso di un trattamento sanitario obbligatorio.

Probabilmente rassegnato al suo destino, dopo le ultime due ore di libertà Franco si consegna quindi ai carabinieri, che lo descrivono come agitato, fuori di senno. Prima di farsi portare via, però, si lava, si ferma al bar, ordina un caffè e chiacchiera con il personale del bar, che invece sostiene il contrario di quanto hanno sostenuto le forze dell’ordine: Franco era calmo, lucido, certamente non pericoloso
Sale da solo sull’ambulanza, e dice solo una profetica frase: Non portatemi a Vallo, perché là mi ammazzano“, ed è lì che in effetti morirà.
Franco aveva già avuto esperienze in altri tso, conosceva gli ambienti e forse sapeva che a Vallo della Lucania, nonostante fossero passati più di trent’anni dalla legge Basaglia -che ha comportato la chiusura dei manicomi- si utilizzava ancora maltrattare i pazienti.
A firmare il trattamento del tso è il sindaco Vassallo, nonostante Mastrogiovanni non si trovi più nel territorio sotto sua giurisdizione.

Quella mattina del 31 luglio Franco Mastrogiovanni finisce quindi su un lettino d’ospedale. Dalle videoregistrazioni, che riprenderanno tutta la disperazione e il dolore di quest’uomo nelle ore successive, si evince chiaramente che Franco è collaborativo con gli infermieri, è calmo. Lo vediamo anche passeggiare, ancora in costume, per i desolanti corridoi dell’ospedale, chiacchiera con un medico, poi dopo aver pranzato da solo si mette a riposare. Tutto probabilmente ha inizio quando Franco si sottrae alla richiesta degli infermieri degli esami delle urine: tale rifiuto segnerà l’inizio della sua tortura.

Gli infermieri gli legano mani e piedi al lettino, quindi viene sedato con sonniferi e calmanti, perché Franco a questo punto inizia a dimenarsi. Chiede aiuto al primario, che guarda inerme la condizione disumana a cui il suo paziente è sottoposto; cerca più volte invano di liberarsi da ciò che lo teneva legato e costretto al sudicio lettino ormai intriso del suo sudore. Ha sete, vuole bere ma nessuno lo ascolta. Sono dure le immagini di un uomo privato della sua dignità, della sua stessa umanità, la cui energia si affievolisce ora dopo ora, e finisce col morire, agonizzante e nuda, sotto gli occhi di tutti, dopo 87 ore di noncuranza.

Franco Mastrogiovanni
Franco Mastrogiovanni

È il 4 agosto, e della morte del paziente se ne accorgeranno tutti cinque ore più tardi, intorno alle sette del mattino. Durante le sue ore di agonia è la nipote Grazia Sarra a cercarlo, all’oscuro del trattamento disumano che stava subendo lo zio: i medici le avevano impedito di parlargli al telefono, giustificando l’isolamento di Franco con il presunto “stato di agitazione”, che  era però ormai sedato  e privo di forze.

Dopo la morte di Franco sono stati condannati in definitiva, quasi dieci anni più tardi, i 6 medici che lavoravano all’interno dell’ospedale, eccetto gli infermieri, in quanto “obbedivano soltanto agli ordini che venivano loro impartiti”. Tutti loro, però, possono continuare ad esercitare il loro lavoro.
È dalla rabbia che non vi è alcuna rassegnazione, soltanto voglia di far sentire la propria indignazione e dar voce al dolore sedato dello stesso Franco: Molti sono i comitati, le associazioni, e persino un film che documenta e ricostruisce le ultime ore di Franco: “87 ore“. Lo scopo è quello di riconoscere il reato di tortura, perfezionare i sistemi giuridici obsoleti del nostro paese.

Quella di Franco non è soltanto una triste storia da raccontare o una condanna orribile senza movente, ma può essere il movente stesso per rendere finalmente l’Italia un paese consapevole nei confronti degli abusi di potere, rendendo possibile il riconoscimento del reato di tortura, creando trasparenza in tutte le carceri, gli ospedali e gli svariati edifici istituzionali in cui ogni giorno uomini e donne possono subire soprusi e abusi di potere di qualsiasi tipo. Franco, così come tante altre vittime di questa società, non sono morti invano: hanno acceso il fuoco della rabbia di tutti coloro che chiedono giustizia e che vogliono semplicemente vivere in un mondo migliore.

 

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