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Francesco Petrarca: indissolubile il legame con Napoli

Francesco Petrarca è uno dei poeti più apprezzati della tradizione letteraria italiana; celebre l’opera “Il Canzoniere”, nella quale decanta il suo profondo amore per Laura.

La vita dell’illustre poeta fu costellata da tanti momenti interessanti, ancora oggi oggetto di studio da parte di filologi ed autori italiani; proprio in riferimento ai diversi momenti che hanno contraddistinto l’esistenza di Petrarca, assume particolare risonanza il suo soggiorno a Napoli.

Francesco Petrarca: l’amore per Napoli 

Città variegata dal punto di vista storico e anche culturale, Napoli ospitò il poeta per circa tre mesi, ricoprendolo di affetto di cui egli stesso fece menzione.

Presente a Napoli, in veste ufficiale, incaricato dal cardinale Colonna e anche dal papa Clemente VI, Petrarca, intervenne presso il Gran Consiglio, per provare a restituire la libertà alla famiglia Pipino, protetta dal Colonna, ma anche per dar voce al romano pontefice.

Attese a lungo una risposta, purtroppo mai arrivata (un vero e proprio insuccesso diplomatico) e nel contempo ebbe modo di visitare sia i Campi Flegrei sia alcuni dei luoghi cosiddetti “Virgiliani”, densi di significato “poetico”, oltre che di suggestiva bellezza.

Ciò che lo colpì maggiormente furono in particolar modo i laghi d’Averno e di Lucrino, ma anche la suggestiva Grotta della Sibilla: una realtà ricca di beltà e senso poetico al tempo stesso. Da appassionato botanico, visitò giardini, chiostri, ma anche chiese e biblioteche, innamorandosi sempre più della città e di quanto essa potesse offrirgli.

Petrarca ed il terribile terremoto del 1343

Nonostante il poeta fosse molto apprezzato a Napoli e avesse stretto notevoli rapporti di amicizia, fu terribilmente scosso dal maremoto che coinvolse la città nel 1343.

Un evento terribile, spesso lasciato nel dimenticatoio, che evocò tanta paura nell’animo del poeta, in “missione” a Napoli per conto di Papa Clemente VI. 

Il poeta scrisse di quello spaventoso maremoto, nel quinto libro delle sue Epistolae familiares.

Ne scrisse con forte enfasi, a suggello dello spavento che pervase il suo animo.

Il terreno su cui ci trovavamo, eroso dalle acque che vi erano penetrate, franò velocemente; Noi, in terraferma, a stento ci siamo salvati, nessuna nave resse ai flutti né in alto mare e neppure nel porto. Una sola fra tante, carica di malfattori, si salvò.

La loro nave, pesante, molto robusta e protetta da pelli di bove, dopo aver sostenuto sino al tramonto la forza del mare, alla fine cominciava anch’essa a cedere. E così, mentre lottavano e a poco a poco affondavano, avevano protratto il naufragio sino a sera; spossati alla fine, cedute le armi, si erano raccolti nella parte superiore della nave quand’ecco, al di là di ogni speranza, il volto del cielo rasserenarsi e calmarsi l’ira del mare ormai stanco”. 

Questo è uno dei tratti fondamentali contenuto nell’opera, considerata la prima (probabilmente la più attendibile) testimonianza di quanto accadde quel giorno. 

Una città stravolta, così come l’animo del celebre precursore dell’Umanesimo, Francesco Petrarca.

Petrarca fu testimone oculare di quanto accadde; egli si trovava all’interno del convento di San Lorenzo, poco dopo la mezzanotte, fu avvertito un fortissimo boato al quale seguì un drammatico terremoto. 

Oggigiorno la basilica di San Lorenzo Maggiore è una delle più importanti chiese medievali di Napoli; al suo interno soggiornò anche il celebre Giovanni Boccaccio.

Da quanto è riportato in modo piuttosto confusionario dai vari scritti del tempo, quel giorno il monastero fu fortemente scosso, infatti, Petrarca e alcuni monaci, si rifugiarono in alcune stanze della struttura a pregare affinché tutto finisse.

Il giorno successivo, Petrarca decise repentinamente di ripartire e abbandonare la città, nella quale giurò di non far più ritorno.

La bellezza di Napoli tra passato e presente

Un terremoto del quale Francesco Petrarca aveva già avuto il sentore qualche giorno prima e che lo scosse profondamente scatenando in lui paura ed ansia.

Decise infatti di lasciare la città, quel tripudio di maestosità, quel terreno così fertile di cultura, quel cielo così blu e quella natura tanto vigorosa.

Abbandonò Napoli, nonostante ne fosse profondamente affascinato, quasi ammaliato.

Innamorato del passato, si lasciò trasportare dall’aurea storica e culturale di una città così polivalente quale è Napoli. Era evidente e più volte ribadito l’odio per il presente nel quale viveva; la sua, era dunque, una continua ricerca del passato, dell’antico, nel quale immergersi e ritrovare se stesso.

Una cosa è certa, come egli stesso scrisse, a Napoli, Francesco Petrarca, trovò “terreno fertile” per condurre la sua ricerca del passato attraverso l’analisi del presente.