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Fibromialgia, studi evidenziano componente autoimmune

Fibromialgia, ” il male invisibile” sotto lo studio di una ricerca italiana sul genoma.

Dolori cronici diffusi, perdita di memoria, astenia, mancanza di sonno ristoratore ed una trafila lunghissima spesso,  per arrivare ad una diagnosi. La fibromialgia, considerata come ” male invisibile” e curata con terapie spesso azzardate.

 

Una  svolta ad oggi sembra arrivare grazie alla ricerca portata avanti dal Professor Claudio Lunardi, della Facoltà di Medicina di Verona, in collaborazione con il Professor Puccetti dell’Università di Genova che metterebbe in luce la possibile esistenza di un fattore autoimmune alla base della malattia.

Recentemente infatti è stato pubblicato un articolo su Journal of Clinical Medicine, firmata dalla Professoressa Dolcino Marzia, Verona, che indaga su un percorso molecolare l’origine della patologia avvalendosi di una tecnica moderna sul genoma, offrendo così un quadro più completo per trattare la fibromialgia.

La svolta risiede nel fatto che tale ricerca rappresenti la prima dimostrazione sperimentale che la fibromialgia ha in realtà i caratteri di una vera e propria malattia autoimmune. Fino a questo momento esistevano già delle congruenze e affinità di fattori con altre sindromi autoimmuni, ma non erano ancora state accertate.

Uno studio che cambia radicalmente l’approccio nel trattamento della fibromialgia, ad oggi curata con sedativi, miorilassanti e antidepressivi, proprio per l’impossibilità di definire l’origine precisa di una condizione che spesso porta all’invalidità dei pazienti.

‘ La fibromialgia è una malattia complessa. Ad oggi trattata soprattutto con antidolorifici e fisioterapia riabilitativa, ma è necessario prendere in considerazione un trattamento con farmaci steroidei o immunosoppressori, come per tutte le altre malattie autoimmuni sistemiche”dichiara il  Dottor Puccetti.

Non esiste attualmente un test in laboratorio standard per la diagnosi di fibromialgia, che viene fatta solo su un’attenta osservazione clinica. La ricerca dunque potrebbe portare i medici  a conoscere bene la patologia e a offrire un supporto adeguato seguendo specifiche terapie, per una malattia che abbraccia un ampio spettro di sintomi.