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“Fatti non foste a viver come bruti…” : un verso dantesco che sa di attualità

Nel canto 26 dell’Inferno dantesco Ulisse esorta la coscienza del suo equipaggio con la frase “Fatti non foste a viver come bruti , ma per seguir virtute e canoscenza”.

Un invito alla ragione, alla critica, alla conoscenza che allontana da schemi sociali più propri del branco che del viver sociale.

Come molte delle espressioni dantesche questa frase è di uso comune per esprimere dissenso nei confronti di attegiamenti poco corretti o più semplicemente per porre l’accento su un declino della società.

Prima di soffermarci sull’aspetto contemporaneo della frase del Sommo Poeta, analizziamo un attimo il significato dell’esortazione di Ulisse.

“Fatti non foste a viver come bruti…”: una breve analisi

Questi versi scritti da Dante vogliono essere un monito a non farsi plagiare dal pensiero altrui, dando fiducia al proprio intelletto.  Ulisse esorta i suoi all’utilizzo della ragione come elemento distintivo tra l’uomo e la bestia, capace di ragionare e quindi di scindere tra ciò che è giusto e ciò che non lo è.

Parafrasando il verso:”Fatti non foste a viver come bruti” sembra proprio che il poeta sostenga “tenendo in considerazione la vostra natura umana che vi distingue da quella animale per l’intelligenza, non siete fatti per vivere come bruti’, laddove bruti si intende appunto vivere come le bestie, cioè senza usare la ragione, senza controllare i propri istinti, ma solo con violenza e ferocia.

Violenza e ferocia: i bruti del nostro secolo

I Bruti del nostro secolo usano forse una violenza più sottile che non si manifesta nell’uso della forza per porevalicare sui deboli. E’ una violenza psicologica, che mira ad annientare l’altro impedendogli di reagire in quanto distrutto nella concezione del se.

Un tipo di violenza che ci rende, a conti fatti, peggiori dei bruti di Dante.

La conoscenza, unica arma contro ogni forma di brutalità

L’esortazione di Dante alla non violenza, al disconoscimento della bestialità arriva all’apice con la parte conclusiva del verso citato, ovvero: “…ma per seguir virtute e canoscenza”.

Ecco, per Dante, ma non solo per lui la risposta è nella conoscenza. Unica virtù per elevarsi dalla condizione bestiale.

Un uomo, o una donna, pensante, mira alla conoscenza, al confronto, allontanandosi dall’oscurantismo del pettegolezzo, della diceria, approfondendo là dove ritiene di avere lacune.

Essere nel concreto umano è allontanarsi dalle convinzioni steriotipate dando spazio alla cultura, attraverso il dialogo, il confronto, la lettura e l’arte.