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Falerno: il vino degli antichi auctores

Il Falerno è un vino della Regione Campania le cui antichissime origini sono spesso riconducibili alle testimonianze date dalla letteratura latina, che vedeva l’inebriante vino come una bevanda in uso nell’antica Roma.

All’epoca, il Falerno era soltanto rosso e definito come un vino forte e durevole tanto che i più grandi poeti latini non poterono fare a meno di menzionarlo nelle loro opere.

Affermatosi in tarda età repubblicana in quella che all’epoca era conosciuta come Ager Falernus, attualmente nell’area nord della Campania, principalmente nel casertano, il Falerno venne decantato dagli auctores, non solo da Orazio.

In età repubblicana a definirne le caratteristiche vi fu persino il magnus orator Marco Tullio Cicerone nel suo epistolario, mentre il poeta “neoterico” dell’età di Cesare-tardo repubblicana Gaio Valerio Catullo, in numerosi carmina ne tesse le lodi. 

Nell’età di Augusto, la riscoperta dei “Mos Maiorum”, affidandosi alla la trattatistica, nel risaltare l’arte viticola con Varrone nel De rustica e Columella nel De re rustica, accentuano il carattere pregiato del Falerno. 

Tale esempio viene seguito anche dal poeta Publio Virgilio Marone, come si evince dai primi due libri delle Georgiche e nel primo libro dell’Eneide. Anche l’elegiaco Tibullo nella prima elegia del primo libro della sua raccolta dichiara che detiene come unico lusso la tenere vite del Falerno.

Esempio tra i grandi ingegni della classicità appassionati del Falerno è stato certamente  Orazio Flacco, che nelle Odes, lo definiva come un vino di fuoco. Si narra che il suo periodo di invecchiamento andasse dai 10 ai 20 anni, anche se lo stesso Orazio abbia affermato di un Falerno, prodotto nelle sue vigne, che aveva come lui 33 anni.

In età Flavia è Plinio il Vecchio a decantarne le lodi nell’enciclopedica costellazione delle Naturalis Historie, insieme al poeta della “suburra” Marco Valerio Marziale negli Epigrammi.

La produzione del vino era inizialmente limitata alla sua zona di origine ma ben presto fu apprezzato in ogni dove sia da solo, che accompagnato dalla mirra che ne esaltava il sapore. Un vino costantemente presente ai banchetti imperiali, tanto da meritarsi l’appellativo di vino degli imperatori.

Ma fu solo nella seconda metà del II secolo a.C. che il Falerno divenne un prodotto di grande qualità, grazie anche alle nuove tecniche enologiche che i romani appresero.

In origine gli antichi sommelier, posizionarono al primo posto quello che possiamo definire come l’avversario del Falerno, ovvero il Caecubus, tipicamente prodotto nella zona Latina che è andato man mano a sparire dalla produzione vinicola, portando quindi il Falerno al primo posto.

Oggi, questo inebriante nettare è conosciuto con il nome di Falerno del Massico e nel 1997 è riuscito ad ottenere, primo al mondo, la denominazione D.O.C. grazie all’avvocato Francesco Paolo Avallone.

Quest’ultimo è riuscito con gli anni a riportare il Falerno al suo antico splendore, grazie anche all’ausilio dell’Università di Agraria della Federico II di Napoli.

Proprio lì, in quel luogo in cui è sorta la vite che ha inorgoglito la gola e le penne dei grandi auctores della latinitas, oggi risplendono i grappoli rossi così acclamati anche sulle mura risorte di un antica osteria presso il parco archeologico di Pompei

… «Qui si beve per 1 asse; se ne paghi 2, berrai un vino migliore; con 4, avrai vino Falerno.»