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Enrico Caruso, il grande dimenticato in patria

Quando il 2 agosto 1921, il “Grande” Enrico Caruso si spense un moto di unanime unì gli italiani di New York che masticavano il “broccolino” per rendergli omaggio.

Presso il cimitero del “Pianto” eressero un mausoleo funebre tutt’ora visibile che rendesse onore a chi aveva ridato con la sua voce lustro e nostalgia al loro spirito calpestato dal mondo dell’immigrazione made in U.S.A.

Un secolo  da allora, eppure Enrico Caruso non ha ottenuto oggidì il dovuto riconoscimento in patria.

Ancora oggi potrebbero udirsi le interpretazioni immortali delle opere di Verdi, di Puccini e di Leoncavallo presso il Metropolitan di New York, con folle di “broccoli” acclamanti all’esterno, rappresentando l’immagine dell’artista e dell’uomo meridionale positiva, lungi dallo stereotipo da “Mano Nera”.

A ciò andrebbe allegata anche l’avanguardia rappresentata da Enrico Caruso nel comprendere la prossima diffusione del disco in vinile per grammofono e monotype e la grande generosità svolta attraverso donazioni e concerti per raccogliere fondi durante l’impegno bellico italiano del “15-18”.

In vista del prossimo “Maggio dei Monumenti” da molte parti sono sorte le iniziative per porre all’attenzione delle autorità comunali nel dedicare un mese al grande tenore, emblema di una napoletanità da cartolina, attraverso la sua voce.

Unica e scarna proposta data all’eccellenza della sua maestosa arte è giunta nella dedica di una tratta sulla linea della circumvesuviana Napoli-Sorrento, ricordandone uno dei massimi successi internazionali come “Torna ‘a Surriento”. 

Tra i primi a porre in evidenza la necessità di rendere degnamente onore al Caruso è stato il direttore del Museo di Napoli, Gaetano Bonelli.

Il Bonelli in numerosi interventi, tra stampa e social network ha fatto sentire al sua voce, segnalando come all’unico torto attribuibile a questa “damnatio memoriae” sarebbe l’esser stato tra le più grandi personalità artistiche della Napoli tra fine 800′ e inizio 900′.

Parole forti che rendono eco di come nel capoluogo campano sia assente un polo museale e uno spazio dedicato ad un’artista invidiato dal pubblico d’Oltremanica amante dell’Opera lirica al pari di Dante sul versante letterario, che ha identificato l’anima della napoletanità e dell’italianità in tutto il mondo.

A fare eco sono intervenute numerose testate dell’informazione campane, unite nella battaglia culturale per onorare il Grande Caruso.

Se nella terra natale è pressapoco dimenticato, ciò non è avvenuto altrove, divenendo prima iconico nel cinema con il biopic del 1951 “Il grande Caruso” di Richard Thorpe, estimatore del tenore che scelse per il ruolo il tenore Mario Lanza, fino all’apertura di un polo museale presso Lastra a Signa, in Toscana, nel 2012.

La struttura, ex villa del Caruso si rinvengono cimeli, oggetti e quotidiani appartenuti al tenore oppure donati da costui a personalità come il pittore Francesco Paolo Michetti, dischi incisi nei primi del 900′ offerti dal Centro studi Carusiani e innumerevoli fotografie.

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."