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Domenico Martuscelli, il professore dei non-vedenti

L’intento pedagogico, al limite del missionario nella visione dell’intellettuale e dell’insegnamento di Domenico Martuscelli fu assunta dal padre, regio maestro di calligrafia presso la real casa dei Borbone di Napoli a “Franceschiello”.

Eppure, l’interessamento del re Ferdinando II, dopo la dipartita dei genitori non spinse Martuscelli alla ricerca di un posto a corte, di cui rigettava lo sfarzo.

Da impiegato ministeriale, si impegnò nello studio per diventare insegnante, al punto da licenziare nel 1836 il trattato “Rudimenti di storia del regno delle Due Sicilie“.

Alla vocazione di insegnate, si univa anche l’interesse verso gli ultimi, dilagante strato nel mezzogiorno continentale: tra i luoghi che impressionarono Martuscelli vi fu l’ospizio per ciechi dei SS. Giuseppe e Lucia.

Va sottolineato che all’epoca soggetti affetti da handicap del genere vivevano in condizioni nefaste e subumane, spesso abbandonate a se stesse anche dagli ordini religiosi e dalle opere pie sovvenzionate da laici.

In costoro il giovane coniugò i due fattori, dedicandosi all’insegnamento e alla lotta contro l’analfabetismo.

Come docente di scrittura, riuscì a subentrare all’ex mansione paterna presso il Real Albergo dei Poveri, ancora visibile presso piazza Carlo III, a Napoli.

Ciò avvenne con un fervido impegno atto a cercare di sanare quel gap fisico riguardante la vista, che lo spinse a profferire l’insegnamento nell’ospizio per ciechi dei SS. Giuseppe e Lucia, verso questo strato della popolazione lasciato indifferente e fornirgli i rudimenti per il miglioramento delle condizioni socioeconomiche.

L’iter non fu semplice, nemmeno con l’avvento del Regno d’Italia, perché solo nel 1873 l’impegno e la lotta del prof. Domenico Martuscelli troverà spazio, anche in un primo luogo fisico come l’ex convento S. Maria di Caravaggio sito a piazza Dante, indirizzato a quella fascia d’età, i bambini, che diventò emblematica nella sua lotta contro l’analfabetismo e nella difesa dei non-vedenti.

Martuscelli diede vita al primo organo assistenziale nel giovane stato italiano capace di dar assistenza agli ultimi della città di Napoli e non solo, che in poco tempo acquisì meriti e fama proprio per lo scopo professato nei piano del fondatore, ovvero dare accoglienza e formazione ai non vedenti, collimando anche contro gli interessi delle autorità locali e nazionali.

I corsi di studi preposti dal Martuscelli avevano anche finalità pratiche, atte all’insegnamento di un’attività professionale, indirizzata ad entrambi i sessi: oltre alla formazione scolastica, l’istituto offriva, attraverso laboratori, l’insegnamento di attività correlate all’ artigianato, alla lavorazione della ceramica, legatoria e accordamento di strumenti musicali.

Ciononostante, “L’ Istituto Principe di Napoli pei giovani ciechi” come il suo fondatore dovettero difendersi da accuse e attacchi da esponenti delle autorità e dai giornali, fattori che non fecero desistere il Martuscelli di lottare per ottenere l’approvazione nel 1886 per i bambini non-vedenti la possibilità di frequentare le scuole pubbliche. 

Successivamente l’istituto, che con la morte (1917) del fondatore ottenne il suo nome, trovò diversa ubicazione, al quartiere Vomero nelle stalle dell’ex villa Ricciardi vicino via Cilea.

Ma nonostante abbia allargato i suoi spazi e scopi, coinvolgendo nelle sue attività riabilitative e di reinserimento nella società persone non-vedenti, ad oggi “l’Istituto Martuscelli” vige in uno stato di abbandono e rischio chiusura, tra l’indifferenza di cittadinanza e istituzioni politiche, capovolgendo quel primato glorioso e nobile nato dal sogno del suo fondatore in una negativa eccellenza.

 

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."