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mercoledì, 27 Settembre 2023

Carcere di Guantanamo: nessun valore alla vita umana

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Abd al-Rahim al-Nashiri, di origini yemenita e attualmente detenuto nel carcere di Guantanamo, richiese a uno dei giudici militari un rapporto completo sulle tecniche utilizzate dalla CIA per interrogare i reclusi, nel caso in cui gli fosse inflitta la pena di morte: l’uomo fu arrestato nel 2002, portato prima nelle prigioni della CIA e poi a Guantanamo, incolpato di aver organizzato l’attentato ai danni del DDG-67 USS Cole, la nave da guerra statunitense che il 12 ottobre del 2000, mentre ormeggiava nel porto di Aden per fare rifornimento, fu avvicinata da una barca che poi esplose, causando la morte di 17 marinai americani. L’attentato fu associato alle truppe di Al-Qaeda. Il rapporto servirebbe agli avvocati per scagionare il loro assistito.

Il waterbooarding, l’utilizzo di trapani elettrici e le minacce di morte, sono dichiarate illegali dal Dipartimento di Giustizia americano. L’intero rapporto, consegnato, è di 6.600 pagine, di cui ben 6.120 segretate. La Casa Bianca ha infatti concesso il potere alla CIA di ridurre i rapporti attraverso il proprio processo di revisione interna: impossibile garantire una piena trasparenza. Il dottor Sondra Crosby, professore del Boston University Medical School e membro dei Medici per i Diritti Umani, ha esaminato al-Nashiri e ha dichiarato: “Credo che il signor al-Nashiri abbia subito torture fisiche, psicologiche e sessuali. Soffre di disturbi anali e ha difficoltà nel defecare”, sintomi, secondo il Professore, di “superstiti di violenza sessuale”. Sono stati trovati sul corpo dell’uomo cicatrici su polsi, gambe e caviglie, “soffre di sbalzi d’umore e mal di testa, dolori al petto, dolori articolari e mal di stomaco”.

Oggi sono circa 154 gli uomini detenuti a Guantanamo, il carcere aperto l’11 gennaio del 2002 su una delle basi militari di Cuba, di cui circa 50 hanno una detenzione a tempo indeterminato, designati dalla commissione Obama perché considerati ‘pericolosi’ per la società. Tuttavia la detenzione indeterminata, senza accuse plausibili, senza processo e con torture inquisitorie, viola i diritti umani. Intanto negli USA è stato approvato il nuovo disegno di legge National Defense Authorization Act 2015 che approverebbe lo stanziamento di 521,3 miliardi di dollari da utilizzare per la difesa contro il terrorismo, mentre è stato bocciato l’emendamento che avrebbe annullato la detenzione indeterminata e la chiusura di Guantanamo per il 2016. In ogni caso se il carcere venisse chiuso gli Stati Uniti continuerebbero a mantenere i loro poteri sui detenuti in fermo indeterminato.

L’articolo 9 del Patto internazionale sui diritti civili e politici recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà o alla sicurezza della propria persona. Nessuno può essere arbitrariamente arrestato o detenuto. Nessuno può esser privato della propria libertà, se non per i motivi e secondo la procedura previsti dalla legge […]”. Diversi governi stranieri hanno però appoggiato il programma della CIA, secondo la Open Society Foundation sono 54, tra cui Afghanistan, Algeria, Egitto, Iran, Italia, Giordania, Libia, Arabia Saudita, Turchia e Yemen. Questi paesi ospiterebbero le prigioni della CIA sui loro territori; attuerebbero interrogatori, torture, consentirebbero l’uso dello spazio aereo nazionale e degli aeroporti per i voli segreti al fine di trasportare i detenuti che, per motivi legali, non possono essere trattenuti nelle sedi ‘ufficiali’ della CIA.
“Un altro anno, gli stessi ingredienti mancanti” è stato il titolo del rapporto di Amnesty International, presentato il 23 maggio a un anno dalla promessa di Obama di chiudere il carcere: “un anno dopo poco è cambiato perché gli USA continuano a non mettere il rispetto dei diritti umani al centro della strategia anti-terrorismo, loro che si dichiarano da sempre i campioni dei diritti umani”. Una promessa non ancora mantenuta, partita in seguito all’ennesimo sciopero della fame dei detenuti, torturati al suono delle canzoni degli Skinny Puppy.

Era il 22 gennaio 2009 quando il Presidente della più potente ‘democrazia’ del mondo dichiarò per la prima volta: “Il centro di detenzione di Guantanamo sarà chiuso appena possibile e non oltre un anno dalla data di questo ordine. Ma quel carcere, costruito per eliminare il terrorismo, trasportando afgani in gabbie con filo spinato, è ancora lì, in una base navale cubana degli USA, notificata esterna alla giurisdizione di tutti i tribunali civili federali, in una posizione di totale isolamento.

Secondo il rapporto di Amnesty, Iran e Iraq sono gli stati che hanno contribuito al 15% dell’aumento delle esecuzioni del 2013. I due paesi si trovano rispettivamente al secondo e al terzo posto della classifica per condanne a morte, anticipate dalla Cina e seguite da Arabia Saudita e USA. Il rapporto evidenzia soprattutto la segretezza sulle esecuzioni, molti avvocati e familiari non vengono informati, men che meno l’opinione pubblica.

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