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martedì, 26 Settembre 2023

In campo Gerrard e altri dieci

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Alessandro Montano
Alessandro Montano
Aspirante giornalista sportivo distante un pallone dalla normalità. Crede in un Calcio fatto di domeniche in gradinata e di partite "sventurate" tra amici. Passione, divertimento e spirito di aggregazione la Trinità da rispettare. Sogna di diventare una delle grandi voci della comunicazione sportiva.

Get in, kid, it’s your turn!”. E’ il 29 novembre 1998: siamo all’Anfield Road di Liverpool, dove è in corso un incontro di Premier League tra i padroni di casa e il Blackburn. Le parole sono dell’allora coach dei Reds, Gérard Houllier, che per gli ultimi minuti di partita ha deciso di sostituire il norvegese Vegard Heggem con un giovane centrocampista dell’academy. Ha 18 anni, è piuttosto gracilino e ha uno di quei volti da tipico ragazzo di casa. Poco prima della sostituzione lo speaker si avvicina al giovane, controlla il numero sulla tabella e gli chiede incuriosito: “What’s your name, kid?”. A quel punto il ragazzino si gira e risponde con tono emozionato: “Steven Gerrard, sir”. Lo speaker allora gli strizza un occhio e gli dà una pacca sulla spalla: “Welcome to Anfield, Steve. Good luck!”.
La storia ha appena avuto il via.

Per quanto abbia amato soffermarmi sul momento del suo esordio in pieno stile “Federico Buffa”, credo sia francamente inutile soffermarsi sul suo palmarès. Mi soffermerei più che altro su quanto abbia vinto. Ecco, Steven Gerrard ha vinto tanto, ma non tutto, e forse non abbastanza per uno come lui. E quella maledetta Premier League, che la stagione scorsa è stata ad un passo dall’essere sua, manca e mancherà per sempre nella sua bacheca. Sarebbe potuto andare all’Arsenal degli Invincibili, al Chelsea di Mourinho o allo United di Sir Alex, che tanto stravedeva per lui, e vincere da protagonista il doppio dei trofei. Eppure, ha sempre costantemente deciso di essere vessillo del suo Liverpool e capitano del suo destino. Ha deciso di sostenere sempre e solamente la causa dei Reds con il pallone tra i piedi e la Kop alle proprie spalle.

Sono sempre stato affascinato da chi la fascia da capitano la indossa come una bandiera, come a rappresentanza di un gruppo, di un popolo, di un ideale. Da chi il calcio lo vive come una questione di principio, come un qualcosa di fondamentale all’interno della propria esistenza. Da chi serve la maglia con devozione ed umiltà, nonostante abbia le qualità da numero uno. Steven Gerrard ha dimostrato di essere un giocatore totale, capace di ricoprire qualunque ruolo del centrocampo. Ha dimostrato di essere l’unione perfetta tra praticità e tecnica sopraffina, tra “una vita da mediano” e “la leva calcistica del ‘68”. E’ stato eletto Re della Merseyside dalla sua gente che, però, ora si ritrova orfana del suo capitano. Già, perché dopo 26 anni col Liverpool, di cui 12 con la fascia al braccio, Steven ha deciso di lasciare Anfield per prendere un aereo direzione USA ed unirsi ai Los Angeles Galaxy in MLS.

Ho visto la sua ultima partita all’Anfield. Mentre sei dinanzi la TV hai come una sensazione di sconforto, di nostalgia, come se sapessi già che uno così, uno come Gerrard nella vita sportiva di un appassionato passi piuttosto raramente. E’ come se sapessi perfettamente che potrà anche continuare a giocare negli states, ma il suo posto è essere sotto la Kop, è quella la sua casa. Hai la sensazione che, senza avere indosso quella maglia rossa, Gerrard non sia Gerrard, ma semplicemente uno che gli assomiglia. Uno che sia fuoriclasse, un campione, ma pur sempre non lui, perché mai ci sarà nessun Gerrard senza nessun Liverpool.

Goodbye Steve, you willl never walk alone

https://www.youtube.com/watch?v=W5bvwMizivc

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