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sabato, 3 Giugno 2023

Calcio, Rooney lascia i leoni inglesi

L'asso che portò lo United di Ferguson a metà degli anni 2000, capace di emozionare ancora, al di là delle varie critiche per peso prima, e per età dopo, ha deciso di lasciare la nazionale inglese

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Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."

Ad oggi, Wayne Rooney, sembrerà il solito top player, che a fine carriera sbarca negli Usa e in Mls. Ma, dietro la parabola umana e calcistica di uno degli ultimi bad boy di Sir Alex Ferguson, vige una storia incredibile, fatta di passione e talento, unita a perseveranza e follia.

Ad oggi, dopo un esordio giovanissimo con la maglia della nazionale inglese avvenuto nel 2003,  ha deciso di salutare, con degno numero 10 sulle spalle, la shirt dei “tre leoni”, omaggiato dallo stesso ct Southgate .

Nel match in amichevole dell’Inghilterra giocatasi ieri sera nel tempio del calcio europeo, il Wembley Stadium contro gli Stati Uniti, vinta dai “leoni” per 3-0, Rooney ha chiuso un capitolo arduo e difficile, ma non meno emozionante della sua carriera, che l’ha portato a vincere ed a perdere una finale di Champions League nell’arco di biennio, esplodendo presto grazie alla lungimiranza di Sir Alex.

A 15 anni dall’esordio in nazionale e 120 presenze, condite di 53 goal, meritatissima la passerella offerta ad una delle stelle del calcio europeo, che dal 2003 ha sempre risposto presente, tra critiche e liti anche con il nostro Fabio Capello ai tempi della guida della nazionale inglese.

Con l’addio di Rooney, si chiude definitivamente un’epoca per il calcio britannico, che aveva visto nascere esplodere e bruciare, dopo Owen e Beckham, talenti e campioni del calibro di Lampard, Gerrard, Terry, Rio Ferdinand, nomi tra i quali quello del ragazzone cresciuto nell’ Everton, che ha dovuto combattere con la discriminazione per il peso e le critiche dei media per l’aspetto fisico e l’atteggiamento cruento, ma anche per l’incapacità di rompere la maledizione dei rigori a cui l’Inghilterra sembrava legata fino all’ultimo mondiale.

 

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