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mercoledì, 27 Settembre 2023

Buon compleanno, Reyhaneh

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Paola Ciaramella
Paola Ciaramella
Una laurea specialistica in Filosofia e, da sempre, la passione per la penna, che l’ha portata ad avvicinarsi all’affascinante mestiere del giornalista, sia nel mondo della carta stampata che in quello, multiforme, della rete. Ama i libri, il canto, l’arte, ma soprattutto ama andare a caccia di buone notizie e raccontarle.

Oggi avrebbe compiuto 27 anni. Ma questo compleanno, né i futuri, Reyhaneh Jabbari non lo festeggerà mai. Il 25 ottobre scorso la giustizia iraniana ha messo fine alla sua vita, eseguendo la condanna per impiccagione emessa nel 2009, quando di anni ne aveva soltanto 22. In questa giornata il mondo la ricorda sui social network: sulla pagina Facebook Save Reyhaneh Jabbari from execution in Iran sono comparse foto che la ritraggono da bambina, commenti, messaggi da parte di centinaia di persone da ogni angolo del pianeta.

La madre, Shole Pakravan, che si è battuta fino alla fine per salvarla, ha invitato ad accendere una candela e a condividerne la foto, postandola con l’ashtag #HappyBirthdayReyhaneh. Un omaggio “al coraggio, alla pazienza, all’intelligenza, alla bellezza e alla speranza di giustizia” di una giovane donna che non è sfuggita alla folle macchina delle esecuzioni capitali in Iran. Sono state 687, solo nel 2013, le condanne nel Paese del Medio Oriente, secondo il rapporto annuale sulla pena di morte dell’organizzazione Nessuno tocchi Caino.

Una vicenda che ha scosso il mondo

È il 2007, a 19 anni Reyhaneh viene arrestata per l’omicidio di Morteza Abdolali Sarbandi, ex funzionario dell’intelligence di Teheran che la attira in casa promettendole un lavoro e lì tenta di abusare di lei. Alla sua prima confessione non ha diritto neppure a un avvocato. Il processo dura otto anni, un lungo periodo in cui per lei si mobilitano Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani. Sua madre, una nota attrice di teatro che aveva ottenuto l’appoggio di un nutrito gruppo di esponenti della cultura, il 30 settembre scorso fa appello anche alle autorità italiane.

Può evitare l’impiccagione a una sola condizione: il figlio della vittima le chiede di ritrattare, di negare che il padre abbia tentato di violentarla, per fargli riconquistare l’onore perduto. Lei sino agli ultimi istanti si rifiuta di farlo e va incontro alla Qisas, la legge iraniana, secondo la quale i familiari delle vittime hanno il potere di perdonare o condannare a morte l’imputato.

Nella lunga lettera-testamento lasciata alla madre prima di morire, Reyhaneh chiede che i suoi organi siano donati, in forma anonima: “Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata, il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le mie ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che il destinatario conosca il mio nome, compratemi un mazzo di fiori oppure pregate per me. Mia dolce madre, l’unica che mi è più cara della vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore divengano polvere”. La corte suprema iraniana non ha ascoltato neppure questo suo ultimo desiderio.

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