Brutalismo a Napoli. Il Policlinico Federico Il .Negli ultimi anni si è assistito a un progressivo e crescente interesse per il brutalismo, al di là del suo originario significato architettonico. Ormai viene utilizzato in modo assai più ampio , in modo analogo a quanto è successo al minimalismo.
Il revival del brutalismo
Una sorta di hashtag, una specie di etichetta, uno sticker da applicare. Non solo agli edifici, ma anche alla grafica, alla moda, perfino alla cucina. Il recentissimo successo del film The Brutalist non ha fatto altro che sancire un revival inarrestabile.
Va anche detto che il termine brutalismo, stile esclusivamente architettonico, non va confuso con quello di art brùt (arte grezza) che si riferisce a uno stile pittorico. Grezza perché rude, di autodidatti, talora in condizioni di disagio psichico (tossicodipendenza e alcolismo) o reclusi in luoghi quali penitenziari o case di cura per malattie mentali.
Ebbene, a Napoli c’è il più vasto esempio di architettura brutalista in Italia , se non in Europa. Si tratta del Policlinico dell’Università Federico II , da molti conosciuto come Secondo Policlinico (dal 2003 Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II).
Tra il 1964 e il 1971 un gruppo di architetti guidati da Carlo Cocchia (Cesare Blasi, Mario Boudet, Fabrizio Cocchia, Onorina Frazzi, Massimo Nunziata, Gabriele Padovano, Michele Pizzolorusso) realizzò il progetto vincitore del concorso per la sua realizzazione. Ma che cos’è il brutalismo ? Facciamo un passo indietro di qualche decennio.
Definizione di brutalismo
Il brutalismo è uno stile architettonico nato negli anni Cinquanta nell’ambito più generale dello sviluppo del post-modernismo , ossia del superamento del Movimento Moderno . Il primo architetto autore di un’opera brutalista è considerato il francese Le Corbusièr.
Il termine deriva dall’inglese brutalism che a sua volta proviene dal francese béton brut (cemento grezzo) di Le Corbusier. Lo storico dell’architettura Reyner Banham introdusse il termine per primo. Lo fece derivare dal cemento a vista utilizzato per la prima volta nel 1950 nell’Unitè d’Habitation di Le Corbusier a Marsiglia, progetto di edilizia residenziale diventato vero e proprio simbolo del brutalismo.
Infatti la caratteristica più evidente di questo stile è proprio il cemento a vista, che conferisce particolare vigore ed energia ai volumi delle architetture.
Epicentro del brutalismo è stata inizialmente l’Inghilterra, dove alcuni architetti cominciarono a teorizzare e disegnare secondo linee non più consone, se non in aperta antitesi , al razionalismo. Distinte sia dal minimalismo scandinavo che dal movimento metabolista giapponese con le sue tipiche unità cellulari.
Gli edifici brutalisti sono esternamente spogli e lasciano a vista i materiali costruttivi (calcestruzzo, vetro, mattone, acciaio) per trarne un’inaspettata “ rozza poesia” . Per altri il brutalismo rappresenta “la musica techno dell’architettura, spoglia e inquietante “.
Eppure questo stile non ha sempre incontrato il favore del pubblico. E nemmeno di molti architetti, al punto che nel corso degli anni molti edifici sono stati abbattuti. Le Vele di Scampia ne sono un esempio, anche se definirle brutaliste è probabilmente una forzatura. Peraltro a Napoli vi sono altri esempi di architettura brutalista. Entrambi opera di Aldo Loris Rossi, ossia la Casa del Portuale e la Piazza Grande ai Ponti Rossi.
I principali architetti del brutalismo
Oltre che in Inghilterra (Alison e Peter Smithson, James Frazer Stirling ) il brutalismo si affermò negli Stati Uniti d’America (Paul Rudolph) e in Argentina( Clorindo Testa, di origini napoletane)
A Napoli il principale esponente del brutalismo ( perseguito in una fase della sua carriera) è stato Carlo Cocchia (1903-1993) che peraltro proveniva dal razionalismo e che in seguito si sarebbe orientato verso l’high tech.
Un grande architetto, precedentemente anche pittore (fino a quando si laureò in Architettura) che ha caratterizzato la città con le sue opere : basti pensare alla Mostra d’Oltremare, alla Stazione Centrale di Piazza Garibaldi , allo Stadio San Paolo (ora Maradona) solo per citarne alcuni.
Brutalismo a Napoli. Il Policlinico Federico Il
Brutalismo a Napoli. Il Policlinico Federico Il Cocchia ha concepito il Policlinico come un insieme di strutture modulari in cemento armato a vista tutte orientate nello stesso verso ,allo scopo di aumentare la luminosità degli interni durante le varie fasi del giorno. I singoli edifici sono connessi tra loro, a due a due o a tre a tre.
Oltre ai padiglioni multipiano, vi è una serie di edifici amministrativi, tra cui l’edificio direzionale con l’Aula Magna, l’Istituto di Anatomia e Istologia Patologica e l’imponente e austera Torre Biologica (detta così per la presenza di vari dipartimenti biologici) alta 74 metri con 21 piani e visibile da vari punti della città.
Ha l’aspetto di un alto e slanciato parallelepipedo nero in calcestruzzo armato composto da pareti a facciata continua . Sulle superfici s’innestano le finestre mentre le strisce rosse sulle facciate rappresentano motivi ornamentali.
Il complesso del Policlinico occupa un’area di circa 450.000 mq con un volume di 900.000 mc. e 3.000 posti letto, concepito per rispondere a una triplice funzione : ospedaliera, didattica e di ricerca scientifica. Rappresenta un unicum in campo brutalista, molto apprezzato dagli storici dell’architettura.
Carlo Cocchia , un architetto da riscoprire
Infatti vari studi citano l’opera in riviste sull’architettura contemporanea di livello nazionale e/o internazionale. Opera che ha introdotto e sperimentato significative innovazioni nell’uso dei materiali o nell’applicazione delle tecnologie costruttive.
Eppure, il Policlinico Federico II è rimasto a lungo nelle cronache cittadine come opera di Corrado Beguinot, Ingegnere e urbanista , all’epoca Professore Ordinario alla Cattedra di Tecnica Urbanistica. In realtà Beguinot era il Presidente della Commissione che valutò i progetti presentati al concorso e che alla fine scelse il progetto di Cocchia.
«In complesso si può dire che il secondo Policlinico, oltre alla citata ambiguità propria del tema, manifesta anche una sorta di pluralismo delle fonti che tuttavia non si è tradotto in una espressione eclettica, il tutto riconducendosi ad una immagine unitaria, in gran parte dovuta alla guida di Carlo Cocchia e allo sforzo organizzativo di un così vasto e complesso cantiere»
Chi di noi in vita sua non è andato almeno una volta al Policlinico Federico II per motivi personali (di salute o per lavoro) o per accompagnare o visitare familiari o amici. D’ora in poi recandosi nella struttura avrà la possibilità di osservarlo in modo diverso, meno frettoloso e più consapevole. Rendendo così omaggio a una grande architetto napoletano e al suo brutalismo che compete alla pari con quello di altri grandi architetti europei.