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domenica, 4 Giugno 2023

America Latina e Europa.Intervista a Geraldina Colotti

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Andrea Tarallo
Andrea Tarallo
Collaboratore XXI Secolo. Laureato in “Scienze Storiche” presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II” con una tesi sulla storia politica e economica dell’Argentina tra XX e XXI secolo

Ha senso provare a guardare all’America Latina per capirci di più della situazione attuale che stiamo vivendo? Se sì, perché a tuo giudizio?

La situazione italiana è ovviamente molto diversa da quella che attraversano i paesi dell’America Latina: noi siamo una società “complessa”, erede di una forte tradizione comunista purtroppo gettata quasi completamente alle ortiche da una sinistra immemore, ondivaga e a-conflittuale. Un paese che ha vissuto una stagione di grandi ideali e di forti rotture nel corso degli anni ’70. In quelle particolarissime condizioni storiche, a sinistra del Pci (il partito comunista più forte d’Europa, allora), si è sviluppata una sinistra rivoluzionaria in cui si sono confrontate diverse ipotesi di trasformazione radicale della società. Una di queste – le Brigate rosse – ha portato avanti per circa vent’anni un’opposizione armata, scontata con quasi 6.000 prigionieri politici, alcuni dei quali ancora in carcere all’ergastolo. L’America Latina ha cercato di uscire dalla devastazione delle dittature imposte da Washington e dal neoliberismo imperante dopo la caduta dell’Unione sovietica ricostruendo un inedito blocco sociale a guida socialista: riprendendo il testimone e gli ideali tenuti in piedi in solitudine da Cuba. Il punto più avanzato è sicuramente il Venezuela di Hugo Chávez e ora di Nicolás Maduro. Un paese che, dal 1958 alla vittoria di Chávez, nel 1998, dopo aver cacciato il dittatore Marco Pérez Jimenez è stato governato da un’alternanza tra centro-destra e centro-sinistra, organizzata e benvoluta dagli Stati uniti. Il “modello bolivariano” può essere da stimolo almeno su tre punti: le nuove alleanze solidali, messe in campo tra i paesi che si richiamano al Socialismo del XXI secolo, basate sull’interscambio non asimmetrico; la rivendicazione del diritto dei popoli alla rivolta, anche armata, e anche contro le “democrazie camuffate”; la critica alla democrazia borghese e alla sua forma rappresentativa in favore della democrazia partecipata e del socialismo: ovvero su un cambiamento strutturale dei rapporti di proprietà.

Quali Paesi hai avuto modo di visitare nel tuo recente soggiorno lì? Cosa ti ha colpito di più?

Sono stata molte volte in Venezuela e ho visitato brevemente Cuba e il Brasile: prima però ho dovuto scontare una condanna a 25 anni per la mia militanza nelle Brigate rosse, e dopo il carcere ho dovuto aspettare che mi rendessero il passaporto. Senza Cuba, non ci sarebbe stata la rinascita del socialismo in America Latina. La rivoluzione cubana, che Washinton non è riuscita a piegare, è uno schiaffo all’imperialismo che brucia ancora: brucia il livello di consenso, la partecipazione dei giovani e della società alle scelte del Partito, brucia la consapevolezza con la quale il popolo cubano si prepara ad accogliere, a contenere o a neutralizzare i rischi di una nuova invasione nordamericana preparata in base alle “aperture” economiche. Ho visto da vicino come il socialismo abbia saputo rinnovarsi, mantenendo intatta la memoria della rivoluzione. Il Venezuela – un paese che custodisce le più grandi riserve di petrolio al mondo e le seconde di oro – è la punta più avanzata del campo bolivariano. A dispetto degli attacchi costanti dei grandi poteri multinazionali, il socialismo chavista in 17 anni ha trasformato il destino delle classi popolari sulla base di una profonda riforma agraria, delle nazionalizzazioni e di massicci piani sociali rivolti all’autopromozione politica dei settori emarginati. Un percorso aperto, nonostante le usure e il disorientamento che hanno portato alla sconfitta elettorale del 6 dicembre, che ha dato per la prima volta la maggioranza parlamentare alle destre. Ma la democrazia venezuelana è di tipo presidenziale, e basata sull’equilibrio di cinque poteri, quindi la partita tra potere popolare e forze conservatrici è ancora tutta da giocare. In Brasile sono stata ospite della fattoria occupata e autogestita dal Movimento dei Sem Terra: un’esperienza di lotta e solidarietà internazionalista che ha sostenuto in modo critico i governi progressisti brasiliani, ora sotto attacco delle forze conservatrici, che si servono della magistratura per tentare di far cadere la presidente Dilma Rousseff.

Recentemente hai intervistato il tuo collega Maurice Lemoine, un tempo redattore capo di ‘LeMonde Diplomatique’. Sei d’accordo con lui in merito alla fine del ciclo progressista in America Latina?

Maurice Lemoine è un grande esperto di America Latina, che ha saputo prendere partito a dispetto della propaganda mediatica dominante. Né lui, né io pensiamo che la nuova avanzata delle destre significhi la fine dell’esperimento socialista in America Latina, ma solo una scossa di aggiustamento, anche fisiologica. Il pericolo vero arriva dal nuovo accerchiamento delle forze conservatrici a guida Usa, che hanno realizzato il grande Accordo Transpacifico – il Tpp – che incrocia gli interessi commerciali europei – il Ttip – all’insegna del neoliberismo. Credo, però, che i settori popolari, soprattutto quelli venezuelani, non siano disposti a tornare indietro.

Ti possiamo chiedere un commento sulle due figure del momento in Sud America: Henry Ramos Allup e Mauricio Macri. Chi sono? Cosa c’è da aspettarsi da loro?

Ramos Allup è un vecchio volto della IV Repubblica, un politico dell’ex centrosinistra, Acción Democrática, ora vicepresidente dell’Internazionale socialista. Un sostenitore del colpo di stato a guida Usa, realizzato contro Chavez nel 2002. Il programma della sua coalizione vuole azzerare le conquiste sociali e ridare alla borghesia il potere che aveva prima dell’arrivo di Chávez: privatizzando le imprese pubbliche e indebitando il paese con il Fondo monetario internazionale. Una politica che altri aderenti all’Internazionale socialista stanno portando avanti in Europa e con i risultati che vediamo anche in Italia. L’imprenditore Mauricio Macri, in Argentina, ha già calato la scure sui diritti del lavoro e sulle libertà sociali. Quel che sta succedendo in Argentina costituisce un monito anche per quegli elettori che, pur provenienti dai settori popolari, hanno votato a destra lasciandosi ottenebrare dalla propaganda elettorale.

Ancora una ultimissima domanda, che questa volta ti riguarda più da vicino. Di recente ho avuto il piacere di leggere il tuo libro ‘Oscar Arnulfo Romero. Beato fra i poveri’, dedicato alla figura del vescovo salvadoregno ucciso dalla dittatura e adesso santificato da Papa Bergoglio. Conoscendo la tua storia personale, sulle prime, questa scelta mi ha spiazzato; vorresti quindi spiegarcela brevemente?

Con il libro su Romero – una figura complessa che ha scelto di stare con gli ultimi e l’ha pagata cara – ho voluto mettere in circolo alcune riflessioni: sull’America Latina del secolo scorso (il secolo delle rivoluzioni), in cui molti preti e suore hanno appoggiato o seguito la guerriglia. Un secolo in cui l’egemonia dei comunisti obbligava alla scelta, anche estrema, i cristiani conseguenti. E una riflessione sull’oggi, sui ritardi di una certa sinistra che sembra sopravanzata dai discorsi di Papa Bergoglio nella difesa dei diritti economici: terra, casa e lavoro.

 

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