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Agricoltura: Abbiamo davvero bisogno di tutto ciò che coltiviamo?

L’agricoltura è solo una delle tante attività antropiche che concorre allo sfruttamento smodato del territorio da parte dell’uomo.

Storicamente il gesto dell’uomo di fermarsi in un posto e coltivare la terra per sopperire al proprio fabbisogno di cibo, abbandonando quella che sino al quel momento era stata una vita da nomade, rappresenta una svolta evolutiva.

Ancora più rilevante, poi, l’ingegno che negli anni ha portato l’essere umano, durante il proprio percorso evolutivo, ad inventare strumenti che gli permettessero di risparmiare fatica fisica.

Se da un lato l’utilizzo del suolo a scopi agricoli, quindi, ha senza dubbio rappresentato una svolta nello stile di vita dell’essere umano, non si può dire che sia stato lo stesso per il suolo.

Bisogna però essere cauti, senza rischiare di cadere nel catastrofismo. Inizialmente l’agricoltura seguiva delle regole ben precise, che non solo avevano lo scopo di nutrire gli abitanti dei villaggi, ma anche lo scopo onorifico di non alterare la composizione del suolo in modo,per fare in modo che esso rimanesse fertile e capace di produrre i suoi tesori. Era questo il periodo pre-industriale, in cui un suolo seguiva un ciclo di coltura e riposo e un alternanza di prodotti coltivati in base alle risorse richieste.

L’avvento del progresso, delle abitudini alimentari sbagliate, così come la frenetica attività produttiva, ha però come sempre accade alterato questi delicati equilibri.

Troppo tempo occorreva affinché un prodotto diventasse delle giuste dimensioni e del giusto punto di maturazione per essere venduto ai mercati, troppo difficile adeguarsi alla stagionalità delle specie agricole.

Allora ecco la necessità di spremere sino all’ultima risorsa del suolo, cercare di potenziarlo chimicamente e in alcuni casi modificare una specie per far si che crescesse nel minor tempo possibile o che si adattasse  a situazioni climatiche non proprio favorevoli.

Tenendo ben saldo il presupposto, più volte ribadito in questa rubrica, che bisognerebbe considerare se veramente c’è bisogno di tutto il cibo prodotto e sulla salubrità dei prodotti così ottenuti, quello su cui bisogna focalizzarsi è il prezzo in termini ecologici a cui tutto questo ci ha portati.

L’agricoltura intensiva ha senza dubbio rappresentato un vantaggio, specie nei paesi più ricchi, in quanto dava la possibilità di massimizzare la produttività e diminuire i prezzi di vendita, ma con quali conseguenze?

L’utilizzo di agenti chimici, come pesticidi, insetticidi e chi più ne ha più ne metta, non finiscono per allontanare solo gli insetti “cattivi”, ma tutti in maniera indistinta. Questo in termini ecologici ha un solo significato, perdita di biodiversità.

L’uso di fertilizzanti chimici ed erbicidi contamina le falde acquifere, gli habitat della fauna selvatica e i corpi idrici come oceani, fiumi e laghi. I nutrienti dei fertilizzanti, in particolare, sono la principale causa di eutrofizzazione nella maggior parte dei corpi idrici del mondo come oceani, laghi e fiumi.

Inoltre questo tipo di attività prevede enormi sprechi di acqua, che va perduta senza poter essere in alcun modo recuperata, nonostante sia la più preziosa delle risorse.

Una risposta a questo problema potrebbe essere l’agricoltura biologica. Ma cosa intendiamo con questa “etichetta”?

Quando parliamo di  “agricoltura biologica” ci riferiamo ad un metodo di coltivazione e di allevamento che ammette solo l’impiego di sostanze naturali, presenti cioè in natura, escludendo l’utilizzo di sostanze di sintesi chimica (concimi, diserbanti, insetticidi). Questo equivale a dire che si punta a sviluppare un modello di produzione che eviti lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, dell’acqua e dell’aria, utilizzando invece tali risorse all’interno di un modello di sviluppo che possa durare nel tempo.

Oggi poi si sta cercando di fare un ulteriore passo avanti, introducendo quello che è il concetto di agricoltura sostenibile. Che miri non solo alla salvaguardia del paese, ma che ridia dignità a coloro che lavorano in questo settore.

L’agricoltura sostenibile fa infatti parte degli obbiettivi dell’agenda 2030.