Sono circa 31 le persone uccise in seguito all’ennesimo attentato in Afghanistan, di cui 18 militanti, 4 agenti della polizia e 9 civili; l’attacco è partito da un commando di 20 militanti talebani armati che hanno colpito la zona meridionale dell’Afghanistan, precisamente la sede del governo provinciale e il quartier generale di polizia di Kandahar.
Secondo Dawa Khan Minipal, portavoce del governo provinciale, l’attentato è stato sferrato in seguito ad un minuzioso piano coordinato per colpire le due costruzioni cittadine, poste l’una a 10 km dall’altra: l’attacco è avvenuto in simultanea, mentre un gruppo armato occupava un edificio, un’auto bomba esplodeva nell’area antistante il quartier generale della polizia; contemporaneamente un altro commando prendeva possesso di uno degli hotel di Kandahar City, dirompendo, con spari di fucile contro la sede del governo provinciale, l’attenzione della riunione organizzata anche con alcuni responsabili degli stati stranieri per discutere dei piani sulla sicurezza.
Gli scontri continuano a gettare panico tra la popolazione, costretta a vivere in guerra dal 2001, da quando ci fu l’invasione dell’Alleanza del Nord nei territori gestiti dai talebani.
Dal mese di gennaio al mese di giugno le vittime causate dai conflitti in corso nel territorio afghano sono aumentate, raggiungendo una percentuale che tocca il 24% in più rispetto al medesimo periodo di riferimento dell’anno passato; i dati comunicati dalla Unama (Missione delle Nazioni Unite di assistenza in Afghanistan – ndr) palesano una situazione dilaniante: sono 4.853 le vittime tra i civili del 2014, di cui ben 1.564 i morti e 3.289 i feriti.
La situazione politica in fase di stallo non sembra dare una mano ai conflitti interni; le elezioni presidenziali, il cui scrutinio definitivo verrà comunicato dal 22 luglio in poi, darebbero come favorito al ballottaggio Ashraf Ghani Ahmadzai, l’ex ministro delle finanze dell’Afghanistan. Secondo i primi risultati preliminari dell’Iec (Commissione elettorale indipendente – ndr), l’ex ministro avrebbe ottenuto il 56,44% dei voti, contro il 43,56% dei voti conquistati dal suo rivale, Abdullah Abdullah, ex ministro degli esteri. Il primo risultato del ballottaggio, tenutosi lo scorso 14 giugno, non è però quello definitivo; Ahmad Yousuf Nuristani, presidente dell’Iec, ha dichiarato che “quello annunciato non è il risultato definitivo, ma solo preliminare. C’è una possibilità di cambiamento in tutti i dati. Ci sono stati alcuni errori tecnici nel processo, non possiamo negare che ci siano stati brogli che coinvolgono entrambe le parti politiche”. Lo stesso Abdullah si è dichiarato scettico nei confronti di queste prime comunicazioni di una possibile vittoria dell’avversario e ha richiesto all’Onu un controllo minuzioso delle votazioni che allungherà l’annuncio del successore dell’attuale presidente Hamid Karzai.
Le stesse votazioni furono molto violente: il 14 giugno, data predeterminata per il ballottaggio, furono circa 106 i morti causati dal lancio di bombe a razzi e molti i feriti tra cui 11 persone a cui furono amputate alcune dita delle mani, dai talebani afghani, nella zona occidentale di Herat, per aver osato presentarsi alle urne, nonostante il categorico divieto dei ribelli imposto nei giorni antecedenti alle votazioni. Intanto gli Stati Uniti, da sempre presenti in territorio afganistano inizialmente con supporto tattico e logistico e in seguito con la presenza di militari, hanno fatto presente che nel caso in cui aumentassero le violenze e non ci fosse un esame accorto degli scrutini, il loro aiuto finanziario cesserà.
Entrambi i candidati hanno molto potere: Abullah nella zona a nord del paese, Ghani in quella del sud-est; si rischia in questo modo di continuare a sostenere una guerra interminabile con la creazione di due governi paralleli, dividendo in due lo stato.