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25 maggio 1992: i funerali di Giovanni Falcone

Il 25 maggio 1992, due giorni dopo la morte di Giovanni Falcone, ucciso in un attentato mafioso a Capaci, insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della sua scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, a Palermo nella chiesa di San Domenico vengono celebrati i funerali del giudice e delle altre vittime.

Nello stesso giorno a Roma viene eletto presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.  I Palermitani si stringono in un abbraccio collettivo intorno alla figura del magistrato. Infatti, egli è stato uno dei protagonisti insieme a Paolo Borsellino del primo maxi-processo contro Cosa Nostra.

Presenti al funerale diversi rappresentanti del mondo politico, come il socialista Carlo Martelli e l’ex primo ministro Giovanni Spadolini. Questi accusati da alcuni cittadini.

Una donna Rosaria, vedova dell’agente Schifani, chiede ai responsabili della strage di pentirsi delle loro azioni.

Io vi perdono, ma voi vi dovete mettere in ginocchio“, dice in lacrime dalla donna riferendosi ai responsabili dell’attentato.

I giornali del 25 maggio 1992

“Giovanni sapeva di dovere morire – diranno in tanti – Ma gli è toccato morire con l’amarezza di essere lasciato solo”.

Su la Repubblica di quel 25 maggio 1992 si scriveva: “Piove sul dolore sulla rabbia, sull’indifferenza, sulla rassegnazione dei palermitani. Nel giorno dei funerali di Giovanni Falcone, di sua moglie e della sua scorta, la città ha un volto livido, dimesso, irreale. Piazza San Domenico è gremita. Migliaia di persone sotto un diluvio scrosciante, gli ombrelli aperti, i capelli bagnati, le lacrime, le urla, i fischi. Applausi ai morti, insulti ai vivi. (…) Tutto e il contrario di tutto. Sui muri ingialliscono ancora i manifesti del Comune per Salvo Lima, ‘barbaramente assassinato’. Pochi centimetri accanto, Cgil-Cisl-Uil esprimono cordoglio per il giudice antimafia e le altre vittime”.

“Sono stati giorni molto tristi”, scriveva Bruno Trentin. “Il 23 maggio ad Amelia apprendo con Marie l’assassinio di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca e dei ragazzi della sua scorta. Sembra assurdo e incredibile e tanto più incredibile perché si trattava della puntuale verifica di uno dei suoi teoremi: ‘quando uno è solo è delegittimato’. Mi ritornano alla mente tutti i nostri incontri, con insistenza ossessiva, giorno e notte. I giorni di San Candido. La cena alla Enzian Hutte con Francesca e suo fratello, con Giovanni in grande forma e lucidità. I suoi commenti amari sull’uccisione del Procuratore della Cassazione, in Calabria (…). Lunedì 25 mi ritrovo a Palermo, come in un sogno, ai suoi funerali”.