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Premier: è li la festa.

Se fossi una cheerleaders comincerei con “datemi una P”, “datemi una R” etc, fino ad arrivare alla parolina magica che ci apre al paradiso del calcio, nel quale pure l’ultima della categoria è ricchissima, bellissima e seguitissima, dove 16 stadi su 20 nella massima serie sono di proprietà e dove per conoscere la vincitrice del torneo si deve aspettare l’ultima giornata di campionato. La possiamo chiamare anche l’Euro-Premier visto che le quattro finaliste delle due coppe europee, Champions e Europa-League sono alla corte della regina che nonostante non annoveri le squadre di calcio tra i suoi pensieri abituali sarà, di sicuro, orgogliosa di questi risultati. Noi lo saremmo di certo, come lo eravamo negli anni in cui dominavamo con i nostri campioni e le nostre società ricche di idee e danaro e che si basavano però su vecchi modelli gestionali oramai diventati stra-passati. A quei tempi, i soldi si facevano con gli incassi al botteghino e il merchandising non si sapeva cosa fosse; si andava avanti con le figure carismatiche dei presidenti-imprenditori che dalla provincia mettevano sul piatto moneta e cammelli ed esattamente come nelle grandi città portavano avanti i progetti più di cuore che di pancia. La differenza tra il calcio degli anni 80-90 e quello di oggi è che i modelli di gerenza attuali vertono su concetti creati dalle società anglosassoni già nel secolo scorso ed esplosi ancora prima negli Stati Uniti nel campo del “business planner” nel quale l’Italia è ancora diversi passi indietro. I sentimentalismi e le gestioni personali sono quasi diventate un peso e chi lo ha capito, vedi la Juventus addirittura quotata in borsa, è un passo avanti a tutte ed è l’unica che, da noi, può permettersi Cristiano Ronaldo. L’Inghilterra in questo momento nel calcio sembra un “freccia rossa”, una locomotiva speciale che si da regole e le segue, le rispetta e le fa rispettare, incurante di quel che pensano nel resto del continente ed ottiene i risultati viaggiando senza badare alle tappe intermedie ma guardando dritto alla meta. L’Italia sembra un trattore su un’autostrada che viaggia con la sola preoccupazione di raggiungere la meta più vicina al fine di far raffreddare il motore. La federazione, il collegio arbitrale e le varie leghe del nostro calcio danno l’idea di trovarsi su binari paralleli, felici di non incontrarsi mai, proprio come gli stessi club fanno tra loro. Intanto le presenze allo stadio diminuiscono, in Europa non si vince più e in serie A non ci si batte più per lo scudetto: quello ormai è proprietà privata.