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Eugenio Montale, l’uomo che indagava con la poesia

Eugenio Montale, costituisce un exemplum per tutti coloro che vogliono intraprendere la carriera degli studi umanistici, proprio per la forza resa alla sua vocazione, che lo portò a passare, alla pari di intellettuali come Gadda e Svevo, dall’applicazione verso le materie scientifiche, all’ascolto della sua interiorità.

Apprese da solo, infatti le lingue per eccellenza del sapere classico, latino e greco, e si dedicò da autodidatta allo studio delle materie umanistiche.

Genovese di nascita, ma anche per vocazione, apprende dal luogo natio quella sensazione di leggero degradarsi del vivere, come egli stesso pronunzierà negli Ossi di Seppia, nel testo del Male di Vivere, che si identifica attraverso le cose, espresso meglio con il termine di Correlativo Oggettivo, che vanno oltre la metafora, facendo parlare il contenuto interiore dell’immagine, superando lo stesso concetto di Eliot e Pound, padri dell’imagismo poetico del primo novecento.

Ma cosa costituisce la poesia per Montale?

In essa, l’uomo può solo intraprendere un percorso conoscitivo, gnoseologico, in cui indirizzarsi verso la via di un assoluto ineguagliabile, attorno cui ruota la condizione dell’uomo, soggetta all’inappagamento perenne, a cui nemmeno il dominante dannunzianesimo sa dar più manforte.

Infatti è facile cogliere lo smascheramento del mito dannunziano della poesia e del ruolo del poeta, ricollocato unicamente, come si evince dalla lirica, Non chiederci la parola, ad un mero essere umano, in cui non bisogna preservare alcun intento al di là di dichiarare, attraverso una visone negativa, cosa non sia in verità l’uomo, essere toccato dalla caducità delle cose e del tempo.

A dar salvezza alla condizione umana è un atteggiamento stoico verso la vita, atarassico, a cui solo brevi momenti fugaci, son capaci di rendere serena l’esistenza. Proprio la dottrina stoica, allegata alla lirica leopardiana e quella di Baudelaire, sono il sostrato di fondo di una formula negativa e pessimistica capace di disvelare il Male che albeggia intorno all’uomo, membro di una società automatizzata.

Ma, l’ottica del Montale muta e si sposta progressivamente, insieme ai suoi stessi canoni stilistici. Il Medioevo diviene il panorama storico privilegiato, paragonato alla situazione culturale e politica durante gli albori e l’avvento del Ventennio Fascista. E proprio nelle Occasioni prende forma una nuova esigenza allegata alla poesia.

Dal varco ricercato per rompere questa condizione, adesso un cantuccio, uno spazio chiuso diventa lo scrigno ricercato dentro cui preservarsi dall’imminente catastrofe che non avrà pietà per nessuno. La stessa Sophia -Donna Angelo, identificata con la dantista ebrea Irma Brandais, presente all’interno della sezione finestrella, resta rilegata ad una singola persona, incapace di portare con sé anche colui che la reclama. L’amore fortemente idealizzato si traduce in un arcano disegno lirico in cui tutto è rievocazione di un passato dinanzi alla presente catastrofe.

Nonostante non sia mai stato politicamente schierato, rigetta l’automismo mentale a cui sta inducendo la società bellicosa del primo novecento italiana, accresciuta dalla dittatura fascista, infatti “l’impegno unico” del Montale nel periodo fu l’adesione al Manifesto degli Intellettuali Antifascisti di Benedetto Croce.

Ad oggi, Montale continua a far sbattere il suo verso contro ciò che non è ratio, ragione, cercando di farla tirare fuori da se, allo scopo di cogliere nell’indeterminatezza dinanzi all’incertezza del vivere e del tentativo di comunicare con l’uomo attraverso un messaggio, espresso dal verso, del proprio status più intimo e personale, rivendicando un titanismo che è quello di colui che tutti i giorni sa di dover combattere e anche resistere.

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."