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Australopithecus anamensis, una svolta nell’evoluzione

Pubblicato su Nature, lo studio dei resti di un Australopithecus anamensis, in particolare del suo cranio, hanno permesso a Yohannes Haile-Selassie del Cleveland Museum of Natural History, Stefano Benazzi e Antonino Vazzana, del laboratorio di Osteoarcheologia e Paleoantropologia dell’università di Bologna, di ricostruire il ritratto del bisnonno di Lucy (Australopithecus afarensis) attraverso la ricostruzione in 3D del fossile stesso.

La ricostruzione del cranio, appartenuto a un maschio adulto ed identificato studiandone le caratteristiche della mascella superiore e del dente canino, e il successivo ritratto hanno costretto i ricercatori a rivedere le conoscenze generali sui progenitori dell’uomo e la loro evoluzione.

Infatti, secondo i ricercatori, le due specie, che hanno circa 6 milioni di anni per l’A. anamensis e 3 milioni di anni per l’A. afarensis, hanno convissuto per circa 100.000 anni.

Stefano Benazzi, che dirige il laboratorio a Bologna, ha spiegato: “Il fossile è stato scansionato con la microtomografia negli Usa, presso la Pennsylvania State University, e sulla base di questi dati abbiamo ottenuto la ricostruzione virtuale del cranio completo. Ha permesso di osservare alcuni dettagli che non si potevano evincere dal fossile originale ed è stato sorprendente constatare di essere di fronte al primo cranio completo di Australopithecus anamensis, ovvero la specie più antica del genere Australopithecus.”

Inoltre, tale studio, ha permesso ai ricercatori di osservare nell’esemplare fossile, alcune caratteristiche alquanto inusuali, la stessa Haile-Selassie spiega che: “Il cranio ha un mix di caratteristiche facciali e craniche primitive e meno primitive che non mi aspettavo di vedere su un singolo individuo.

Infatti, alcuni dei tratti che caratterizzano il cranio dell’anamensis sono condivise con specie successive, mentre altre riprendono i tratti di gruppi di ominidi ben più antichi, come Ardipithecus e Sahelanthropus.

La  coautrice dello studio, Stephanie Melillo ci spiega come queste scoperte siano importanti: “Finora, abbiamo avuto un grande divario tra i primi antenati dell’uomo conosciuti, che hanno circa 6 milioni di anni e specie come Lucy, che hanno circa 3 milioni di anni. Uno degli aspetti più interessanti di questa scoperta è come faccia da ponte tra questi due gruppi.

Infine, la Melillo osserva che: “Pensavamo che A. anamensis si fosse trasformato gradualmente in A. afarensis nel tempo, ma questa nuova scoperta suggerisce che le due specie vivessero insieme. Questo cambia la nostra comprensione del processo evolutivo dell’uomo.